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22 telegrafi dello stato


II.

A un tratto, nella taciturnità delle macchine che pareva dormissero, in quel riposo festivo pomeridiano, una lieve chiamata telegrafica s’intese. Nessuno la udì: le poche ausiliarie, malinconicamente condannate a venire in ufficio, dalle due e mezzo alle nove della sera, di Natale, facevano altro. Maria Concetta Immacolata Santaniello, con le mani in grembo, nascoste sotto il grembiale di ufficio, diceva silenziosamente il rosario; Pasqualina Morra, la poetessa, leggeva un volumettino di versi di Pietro Paolo Parzanese, libro permesso dalla direttrice; Giulietta Scarano scriveva, rapidamente, sopra un foglio di carta da telegrammi; Adelina Markò con le mani ficcate nel manicotto, una piccola pelliccia al collo, sonnecchiava; Annina Caracciolo, la indolente, guardava in aria, col suo contegno di distrazione che le risparmiava il lavoro; e le altre, chi dormicchiava, chi chiacchierava sottovoce con la vicina, chi fingeva di non aver inteso, per non muoversi. Ma la chiamata risuonò, più viva: veniva da una macchina solitaria in un angolo di tavolino. Concetta Santaniello interruppe un mistero doloroso e disse, con un tono di orazione:

— Foggia chiama. —

Pure non si mosse; non rendeva servigio a nessuno e non si moveva mai, senza l’ordine della direttrice,