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La Conquista di Roma 115


«Da curioso. E Lei?»

«La guardo passare: fo da spettatore. Già l’è sempre la stessa cosa.»

Il Toscano aspirava la lettera c, fortemente, e parlava senza guardare in faccia il suo interlocutore, con certe voltate di testa sulle spalle, come uomo infastidito. Camminarono insieme, con un accordo tacito.

L’onorevole Giustini non era nè zoppo, nè gobbo, nè propriamente sciancato, ma trascinava straccamente le gambe, portava per malvezzo una spalla più alta dell’altra e il collo raggricchiato come quello della testuggine, le braccia e le mani penzoloni, come se non sapesse che farne e gli dessero noia. Un viso terreo, un par d’occhi chiari, scialbi e una barbetta rada e fulva, divisa sul mento. Tutto un contegno di uomo seccato, un’aria di rachitismo fisico e morale.

«Le dimostrazioni, le passeggiate con le bandiere, le corone deposte sopra una lapide, tutte si rassomigliano fra loro. Ne avrò viste mille, ne avrò anche fatte: quando si è stati giovani e studenti di legge, chi può garantire di non aver dimostrato?»

«Anch’io, all’Università,» rispose Sangiorgio.