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La Conquista di Roma 117

zio che serbava da due mesi che era in Roma, quello studio profondo degli uomini e delle cose, che doveva essere una delle sue forze. Camminando adagio, erano giunti a un altro gomito del viale. Ora, sul piazzale, un vasto orizzonte si apriva: di nuovo Roma vista da una terrazza semi-circolare. Si era a livello dell’Accademia di Spagna: innanzi al grande portone due o tre carrozze aspettavano, una di cardinale: il cameriere, sbarbato, senza un pelo, la faccia di chierico, vestito di nero, passeggiava più in là. La dimostrazione saliva sempre, verso l’acqua Paola, il fontanone sonante e clamoroso. Le persone che passeggiavano, si fermavano a vederla passare. Un signore alto e magro, con una barbetta, bionda brizzolata, scambiava dei saluti coi reduci, mentre sfilavano, restando accanto alla siepe.

«Quello vorrebbe crederci ai tempi moderni e non può,» ricominciò la voce maligna di Giustina «Quello sì, un bell’uomo, sì, proprio quello, con la tuba, è Giorgio Serra: l’avrà inteso nominare. Un bel tipo: un apostolo, un poeta, ma dentro, certo, ne deve aver accumulato di delusioni! È in buona fede, lui: uno dei pochi democratici simpatici. Del resto, in arte è aristo-