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238 La Conquista di Roma

gno; ma una invincibile ripugnanza gli vietava oramai questo vagabondaggio notturno di caffè in caffè, in quell’artifiziale attendamento di deputati, di giornalisti e di curiosi che non hanno famiglia e passano la loro serata in quelle sale calde, piene di fumo; gli veniva, gli cresceva un fastidio immenso della gente che domanda, che chiede, che vuol sapere, che commenta, sempre indifferente. Sapeva che Castelforte e Scalìa si sarebbero trovati con Lapucci e Bomba agli Uffici: preferì risalire, verso Montecitorio, lentamento, comprando i giornali al chiosco di Piazza Colonna, leggendo sotto un lampione, sotto il portico di Velo.

I due o tre giornali della sera annunziavano il duello con una certa solennità, uno metteva solo le iniziali, ma aggiungeva che i tentativi di riconciliazione erano riusciti infruttuosi. Egli li conservò in tasca, e, preso da un po’ d’impazienza, andò a passeggiare su e giù innanzi al Parlamento. Le grandi finestre degli Uffici erano tutte illuminate, i commissarii lavoravano ancora: ma la piazza era deserta, la grande piazza senza botteghe. Egli andava su e giù, girando attorno all’obelisco, dagli Uffici del Vi-