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La Conquista di Roma 303

vagliava da anni, senza sfogo, mentre in don Silvio quel morbo spirituale trovava il suo sviluppo nell’idea e nella parola: era troppo vecchio e troppo appassionato, il ministro dell’interno, per celare più il suo sentimento: non era più tempo d’infingersi. Questo fuoco intimo aveva dovuto conservare ancora vivo lo spirito di don Silvio: Sangiorgio si spiegava ora la ragione di tanto lunga e ostinata vigoria.

Ogni tanto, don Silvio, guardando Sangiorgio, smetteva quel ghigno che rendeva più profonde le rughe degli angoli labiali e sorrideva come intenerito. Oh, egli non dimenticava, no, che il suo predecessore era caduto dietro un discorso e dietro una mozione di Sangiorgio: nè si scordava del reciso rifiuto di Sangiorgio a voler entrare nel rimpasto. Non gli aveva mai potuto dire la sua riconoscenza, ma da quando la Camera si era riaperta, egli lo guardava affettuosamente, lo chiamava a sè, lo consultava, con un’aria fra la deferenza e la cordialità.

«In fondo, il potere vi secca», disse, in una pausa di silenzio, Sangiorgio.

«No,» rispose francamente Vargas, «non mi secca, mi piace, era quello che desideravo. Ma