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La Conquista di Roma 313

bufera, in quell’ora ultima della giornata, in quel paesaggio triste da cui rifugge la gente volgare: si credeva sola, come nel tempio, pregando Dio, parlando a Dio.

A cinquanta passi dal ponte, presso il piuolo mezzo marcito dove la fune della chiatta era attaccata, donn’Angelica si fermò. Pareva che una stanchezza l’avesse presa, a un tratto, malgrado la lentezza della passeggiata: o forse aveva agito su lei il grande fascino delle acque correnti che si prendono lo spirito di coloro che le contemplano e ne assorbono la volontà. Difatti, appoggiata al piuolo, come confitta sulla riva, a un passo dall’acqua che correva, inclinando i rami neri dei salici, donn’Angelica si smarriva nella contemplazione del fiume.

Un larghissimo coperchio nero di nuvole, una cappa che affrettava il sopraggiungere della sera, chiudeva oramai tutto l’orizzonte, intorno: e pareva che la luce a poco a poco morisse, schiacciata fra il cielo e la terra. Sangiorgio non vedeva più nulla, salvo quella figura di donna, immobile come una statua, sulla riva del fiume. Pure, uno strepito sordo venne dalla Via Nomentana, un rumore di ruote, di cavalli trottanti:

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