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124 | la mano tagliata. |
clinato sul petto, le mani congiunte in grembo come un uomo disfatto.
— Buona sera, Rachele Cabib, — disse la voce stridula e fischiante del Maestro.
— Buona sera, Marcus Henner, — diss’ella, piegando le braccia sul petto e chinando gli occhi.
— Avete tardato molto, Rachele.
— Non volevo discendere, — ella rispose fieramente, senza degnarsi di guardarlo in volto.
— No? Perchè?
— Perchè trovo inutile il vedervi, Marcus Henner. — Le rade sopracciglia del Maestro si contrassero, a questo nome ripetuto e che egli non doveva amare: ed egli tacque, un momento.
— Siete discesa, poi, — osservò, con una umiltà falsa.
— Sì.
— Perchè?
— Per obbedire a mio padre.
— Solo per questo?
— Solo.
— Tanto mi odiate, dunque, Rachele Cabib?
— Io non vi odio, — ella disse, fieramente.
— E che sentite, allora, per me?
— Disprezzo, — ella pronunziò, nettamente.
Marcus Henner si morsicò le labbra e non rispose: dal suo cantuccio, Mosè Cabib rivolse uno sguardo supplichevole a sua figlia. Costei non si smosse.
— Perchè mi disprezzate? — disse Marcus Henner, reprimendo a stento la propria ira.
— Perchè mi sembrate un essere ignobile.
— Rachele! — supplicò il padre, dalle ombre in cui stava.
— La verità è sacra, padre. Io disprezzo Marcus Henner perchè è una creatura ignobile, — replicò la fanciulla, con audacia.