Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/52

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46 la mano tagliata.

ca era rossa e tumida, un po’ fiera, poco fatta pel sorriso e per le parole. Bellissima!

Ella era vestita di una stoffa nera di lana, semplicissima, ma tagliata come il panneggiamento di una statua, stretta alla persona da una cintura di vecchio argento, a placche cesellate: un oggetto antico che suo padre aveva ritrovato fra le cianfrusaglie.

Ella portava al collo una sciarpa di merletto ingiallito dal tempo, dai toni molto dolci, che temperava l’aspetto claustrale di quel vestito e di quella cintura. Nessun gioiello al collo, agli orecchi: nessun anello alle perfette mani, mollemente incrociate sulla tavola, in atto stanco.

Lo sguardo di Rachele si fermava spesso su suo padre, con una fugace espressione di tenerezza, ma si ritraeva, subito, come rinchiudendosi in sè stesso. Ella abbassava gli occhi e pensava. Anche Mosè Cabib, ogni tanto sogguardava sua figlia, come se volesse dirle qualche cosa, ma pareva che vi rinunziasse per una ragione ignota. Forse, la presenza di Giacobbe Verona lo seccava. Costui abitava in una stamberga del Ghetto poco lontana, e ordinariamente, preso quel poco di cibo, non si tratteneva molto in casa del padrone: cascava sempre dal sonno, quell’infelice! Pure Mosè Cabib, non seppe resistere e, all’improvviso, domandò a Rosa:

— Siete uscite, stamane?

— Già, — disse costei.

— Dove siete andate?

— Dove ha voluto la padrona, — ella rispose, schivando astutamente una risposta precisa.

Mosè Cabib guardò interrogativamente sua figlia, che sollevò le palpebre e rispose piano, con una voce armoniosa e pura, ma come infranta.

— Avevo mal di capo, sono uscita per prendere aria.