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una catastrofe. | 317 |
Un giovanotto, bruno e snello, entrò. Era vestito correttamente di nero, con un solino lucidissimo; era inguantato e stringeva fra le dita una mazzettina sottile. A metà della stanzetta nuda, senza tappeto, esitò, si fermò.
“Venga, venga,” disse Riccardo Joanna con la sua cortesia un po’ altera e senza levare il capo dal lavoro, “si accomodi: trovi una sedia: scusi, ma siamo di trasloco, siamo venuti ieri qui....”
“Disturbo?” chiese timidamente il giovane.
“No, no, finisco qui e sono con lei,” ribattè Riccardo Joanna.
Il giovanotto bruno e snello aveva preso una seggiola, delle due che ornavano la nuda stanzetta, e aveva fatto per sedersi, ma la seggiola si era piegata leggermente: egli aveva arrossito un pochino e senza far rumore aveva preso l’altra: per timore che fosse anch’essa sfiancata, si era seduto sull’orlo, tenendosi leggiero. E di sottecchi, modestamente, egli sogguardava Riccardo Joanna, questo giornalista grande, questo giornalista terribile, di cui favolose storie si narravano in provincia, il cui nome era conosciuto e venerato dal più umile cronista di giornaletto settimanale e clandestino. Il giornalista grande e terribile aveva le tempie sguarnite di capelli e un po’ ingial-