Pagina:Serao - Vita e avventure di Riccardo Joanna, Milano, Galli, 1887.djvu/46

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36 piccolo.


A Riccardo la macchina pareva una cosa grande e misteriosa. Quando si trovava innanzi a essa, vedendola inghiottire di mano in mano i fogli bianchi e subito buttarli fuori stampati, con gli articoli, con le notizie, coi telegrammi, gli sembrava che essa sola facesse il giornale: il fanciullo dimenticava il lavorío faticoso di suo padre, di Dolfin, degli altri redattori, a cui assisteva ogni giorno, dimenticava il lavorío quotidiano, paziente dei tipografi che componevano il giornale linea per linea. Per Riccardo la macchina pensava e sapeva, scriveva e correggeva, componeva, faceva tutto, sapeva far tutto: quell’organismo ignoto, ma forte e potente, creava ogni giorno il giornale, lo cacciava dalle sue viscere nere, con un movimento preciso e inflessibile di generazione. Tutto l’agitarsi minuscolo di tante persone, scrittori, fattorini, compositori, stampatori, correttori spariva dinanzi a quel largo movimento di creazione della macchina, stridente, rombante, mugolante. Riccardo, assorbito, contemplava il grande congegno, tenendo la bocca un po’ schiusa, le manine inerti lungo le gambe: invidiava Peppino e Ciccillo, i due ragazzi della macchina, ma non avrebbe mai osato di salire lassù. Ogni tanto, quando parlava con suo padre, gli diceva:

“La macchina, papà....”