E la pioggia benefica diffonde
In cento parti il suo dolce ristoro, 110Sì che un batter di mani e un gridar alto
Gli orecchi introna, ed intronando passa.
Passa col fumo delle mense opime,
Col fiato degli armonici strumenti,
Col vortice de’ balli illanguiditi. 115Vedesti il lampo e le scherzose larve;
Ed or non vedi nella notte buia,
Che a quel lampo succede, i volti scarni
Dell’affamato popolo, che pane
Chiede vagando pei deserti campi, 120Che il tuo tesoro fecondar potea.
Ma se nego versare a piene mani
Le mie dovizie e il molt’oro (rispondi),
Il poverello non morrà di fame? —
Morrà di fame sì, poichè non degni 125Il superbo chinar guardo dall’alto
All’officina languida, ai negletti
Solchi e alla plebe livida e sparuta
D’ogni suo bene ignara. Alla derisa
Plebe spezzate il pan dell’intelletto; 130Ed il ferace solco s’incoroni
Di nove spiche; e di materie nove
L’officina s’allegri, e nove chieda
Industri gare. Il molto oro sepolto
Così non giace, nè disperso vola 135Dalle stolte libidini travolto.
Ma perchè l’oro vanti e lo confondi
Colla ricchezza e colla sua sorgente?
Ciò che giova e diletta all’una porge
Il nome, e forza acquista e si propaga 140Pel vigile risparmio agli usi vôlto
Moltiplici dell’arte. È questo, è questo,