Pagina:Sermoni giovanili inediti.djvu/136

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132 sermone decimoterzo.

     210Non il fortuneggiar, ma il viver gramo.
     Delle cose l’acuto occhio sagace
     Il valore ed il reddito ricerchi,
     Misuri e segua. Egual di tutte cose
     L’uso non è. Necessitade a queste
     215Inesorabilmente incalza; a quelle
     Costumanza civile astringe: ad altre
     Con leggiadre lusinghe e vario metro
     Invita il genïal vezzo, o trascina
     Sempre derisa e venerata sempre
     220La volubile moda, a cui le fasi
     Sembrano della luna a correr tarde.
     Le tue gabelle mi sapran di sale,
     Da quel diverso, onde al bifolco neghi
     Far maggior copia e ai campi ed agli armenti,
     225Finchè a necessità danno di cozzo;
     E me digiuno, lasciano od ’orbato
     Della materia al mio lavoro addetta.
     Ma ben ti assolvo allor, che degli obbietti
     A cui ricorro più, come la voglia
     230Più mi sorrida e l’opra mi secondi,
     Lieve lieve s’accresca il prezzo, ond’io
     Ne sopporti l’acquisto; e mentre pago
     Degli obbietti il valore, io paghi insieme
     Inavvedutamente in lui confuso
     235Il valor delle tacite gabelle,
     Che si nomâr dalle gabbate genti.
Talora avviene, che pel dazio offesa
     Tanto la merce sia ch’io la rifiuti.
     Tu dell’ingrato pondo la disciogli;
     240E vendendo la merce il dazio porti.
     Indi l’una restringi, e chi ne move
     In cerca desïoso, all’altro inchina
     Volontario le spalle. Etenia lotta