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l’agricoltura 21

Poi che si fu dell’arbore pasciuto
Che d’infelici amori un dì fu segno,
Nella serica stanza s’imprigiona,
85Onde il varco schiudendo all’aura torna
Rivestito dell’ali di farfalla.
L’agricoltor colla famiglia a lato
Alla mèsse, alla vite, al pingue armento,
All’ape industre, al baco redivivo
90Intento veglia, ed al mutar del tempo
Sempre in nove fatiche si trasmuta.
Ora all’aratro aggioga il lento bue
E il suo campo dirompe, or gli ridona
Cogli addensati succhi il vital nerbo,
95Onde rampolli dagli sparsi semi
Con orgoglio maggior la sua speranza.
Ora alle sonnacchiose acque la via
Apre, rincalza i vacillanti fusti.
Qui le male erbe toglie, e là de’ tralci
100La lascivia corregge, e al vicin olmo
Con felice presagio li marita.
Qui schermo oppone d’innocenti insidie
Agi’ importuni augelli. Oh! così fosse
Atto le voglie a sgomentar del ladro,
105Che baldo per gli altrui cólti si aggira
E pesta e guasta al fulgido meriggio;
Il favor delle tenebre lasciando
Al masnadier che getta a terra ignudo
Il vïandante, o scassina le porte
110Con raddoppiate sbarre indarno chiuse.
Dalla prim’alba al morïente giorno
Ferve l’opra de’ campi. Or della falce
L’occhio ti abbaglia il luccicar benigno:
Or della scure i noverati colpi
115Eco riporta. L’avida maciulla,