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xv coscienza letteraria di renato serra

rie, dell’orgoglio e dell’anima della razza’, ‘il poeta dell’imperialismo’». Quelle frasi sonore, smorzate poi ad una ad una, se non spente a dirittura, faranno presto un curioso effetto; ma non diminuiranno la grandezza di Kipling, nè l’amore di Serra per Kipling. Altro amore, d’una mente eletta, che fugge le parole grosse. Egli domina, si vede, fin dal principio il suo tema. Mostra sì di concedere, con grazia, agli avversari, d’essere un poco esitante; ma poi è lui che stravince. Quella pienezza delle prime righe, quella sorta d’enfasi si mantiene in tutte le sessanta pagine. Serra vi ha messo in questo suo lavoro giovanile tutto il suo caldo, con una vena, un impeto che forse non si ripeteranno più. Sarà la mistura di toni diversi, l’avere attinto forza da varie fonti, l’incontro con un soggetto che mai sentì altra volta sì potentemente e giovanilmente. Tanto caldo, sebbene con classica misuratezza, concederà più tardi solo all’esaltante ritratto del Carducci, a quel mito della sua gioventù studiosa. Qui discorre, traduce, ha un piglio allegro; dà il senso e l’aria dei racconti e dei romanzi; s’intrattiene a certe minuzie, le care minuzie serriane; fa parlare, e par che ne rida, un grammatico, e gli attribuisce cose che sente e dissente, con quel suo giuoco furbo e scattante; e adopra immagini a iosa che danno la misura della sua felicità e della padronanza dell’argomento; sottilizza e affina, ma, anche, leva il tono e monta. Questo personaggio che è Kipling entra veramente nella nostra vita, com’è entrato nella vita di Serra. Voi sapete tutto di lui, ora: della sua educazione, del trionfo letterario, del successo politico. Sapete quanto gli frutta il manoscritto di Kim («ceduto a un editore americano un dollaro