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122 scritti di renato serra

martiri dello stomaco, l’inno dei lavoratori sono svolgimento assai arguto di pensieri che già conosciamo; preoccupazioni sociali e inquietudini umane, desideri onesti e malinconiche contraddizioni. Queste formano il fondo del libro; quella corrente, umoristica a fior d’acqua, e dentro se amara, che corre uguale e piena per tutte le pagine; ma negli accidenti e negli episodi del corso, quanto gioco di luci e di spume e di riflessi trascorrenti!

I vagabondi del cammino nell’anima del P. restano specchiati, come in un’acqua chiara; la loro miseria tranquilla e quasi filosoficamente nuda muove il suo desiderio e anche la sua invidia.

«Il ponte di ferro sospeso sopra il piccolo fiume dal nome glorioso, proiettava dalla parte del mare una fredda ombra. Sotto il ponte, in quell’ombra, l’organetto riposava. Esso era sospeso per le cinghie ad un carrettino a quattro piccole ruote e attaccato v’era un asinello. L’asinello aveva declinate le orecchie e dormiva. La donna del vagabondo organista, sdraiata sull’erba, dormiva; disteso supino l’organista dormiva e il suo volto riarso era rivolto alla tenne brezza marina. Una bizzarra linea geometrica, cadendo giù dal ponte e dallo spaldo, divideva nettamente l’ombra dalla luce. Su questa luce il gran pittore del mondo infondeva ardenti tinte di croco e d’oro, preparando la tavolozza del vespero: su quell’ombra sorvolò un brivido di frescura, che si propagò per le erbe e per le chiome dei tamarischi, onde parevano svegliarsi.

«Le lunghe orecchie dell’asino declinavano sempre più e parevano due indici dell’interminabile tempo. Ma se le erbe si erano svegliate, nes-