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xviii coscienza letteraria di renato serra

chezza di aneddoti e particolari pittoreschi, il Sainte-Beuve?». Che parte, ci domanderemo noi, ha avuto su quegli altri ritratti, i ritratti del Serra, colti anch’essi «sull’uomo vivo», e coloriti anch’essi «con ricchezza di aneddoti e particolari pittoreschi», l’opera del Carducci, e prima ancora l’opera del Sainte-Beuve?

Basta spigolare in una paginetta ciò che il Serra scrive del Carducci e del Sainte-Beuve, e comporremo la sua vera immagine. «Han pure tante cose comuni», egli dice. «Erudizione e lettura universale». E, fatte le debite proporzioni, del Serra si può dire lo stesso, del Serra morto di trentun anno. «Religione delle lettere, profondità e tenacia nella tradizione». E Serra ebbe la stessa religione. «Indipendenza assoluta dello spirito». E Serra indipendente fu, sino all’indifferenza. Il Sainte-Beuve, egli nota infine, «si può dir che non abbia stile, tanto è rotto e molle nel prender forma e qualità dagli spiriti con cui ha che fare»; mentre il Carducci «non mostra nulla così rilevato e vivo e gagliardo come lo stile». Da una media delle non-qualità dello stile del Sainte-Beuve e delle spiccatissime qualità dello stile del Carducci, di quella mollezza e cedevolezza e di quella prepotenza, ecco approssimativamente farsi l’idea delle qualità proprie dello stile del Serra, inconfondibili qualità, e che ad apertura di libro subito s’avvertono, molli anch’esse un poco, ma direi anche, prepotenti. C’è una prepotenza, anche, nell’essere insinuante, e il Serra fu tra i più insinuanti scrittori, con i suoi vizi, naturalmente, i vezzi, le graziette, le smorfiette. In questo, assai vicino al Pascoli, e a quelle sue civetterie or fanciullesche e care ora fastidiosissime. Ma abbiamo, senza volere, anticipato qualcosa che