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RINGRAZIAMENTO A UNA BALLATA DI P. FORT 211

e s’è messo a capo della guerra delle due rive, in nome della poesia contro la letteratura che è arrivata e che fa soldi. Non si contenta di essere un poeta libero, insomma; ne fa anche professione, senza molto buon gusto. E il resto che so delle sue abitudini un po’ gagliarde, delle sue pose pittoresche e moschettiere, non è punto fatto per riconciliarmi con lui: e mi fa lo stesso effetto la mescolanza nello scrivere del popolare e dell’ermetico, della finezza letteraria e della posa ispirata, onde lo studio di lingua, l’abilità saporita, la virtuosità metrica e stilistica di un mestiere eccellente si dissimulano nella bizzarria tipografica dei versi stampati come prosa. Questo è più duro da inghiottire. La poesia come prosa, senza distinzione di verso e di rima; e poi anche il verso senza certezza prosodica e senza obbligo fisso, il verso che talora è verso perfetto e talora è aspirazione o noncuranza o capriccio. Sapete bene, la poesia come dono, come movimento spontaneo, come articolazione musicale senza spezzature e senza distacchi, al di fuori di ogni artificio tradizionale.

Al mio odio antico e categorico contro questa retorica a rovescio, si aggiunge il ricordo fastidioso e particolare; l’esperienza delle strofe che trovai la prima volta nel Mercure, mi pare, l’impressione quasi materiale di quei blocchetti di caratteri da stampa, da cui bisognava cavar fuori dei versi, con una incertezza irritante e contratta negli occhi fissi. È ben vero che i versi, quando ci sono, si fanno sentir subito, molto naturalmente; ma appunto per questo cresce l’irritazione, di quello stare attenti, quasi senza bisogno. E poi tutti i piccoli guai della lettura così a tentoni, quando non si sa da prima lo schema della strofa,