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RINGRAZIAMENTO A UNA BALLATA DI P. FORT 215

l’opportunità. Oggi Paul Fort si contenta di versi e di strofe perfettamente regolari, che osservano, con una prosodia solo in apparenza libertaria, i modi più semplici come i più rari della poesia francese, dall’alessandrino discorsivo alla strofetta della Pleiade: quando si permette dei capricci, quelli sono difficili.

D’altronde egli non cerca di dissimulare il suo amore per il mestiere fino, per la bella materia e per gli accordi ricchi; ha studiato i nuovi e i vecchi, Moréas e Verlaine come Villon e Ronsard e Rabelais; e si compiace di rimare con una disinvoltura e con un gioco di assonanze delizioso, con un sapore di lingua e una sveltezza di scorci, che m’ha fatto trasalir di piacere anche nelle minuzie.

Non è lui che ha trovato, assai prima di me, quella piccola correzione, che mi fu tante volte opportuna, «ma pure Hélène, — je dis au pur visage», che basterebbe sola a mostrar la sua razza?

Non è a questo tuttavia che penso di più. Paul Fort m’ha lasciato sopra tutto un ricordo di sensazioni e di musiche e di luci. Particolari della campagna e della primavera cercata amorosamente: aurore, selve, fiori, acque, piccole città dai nomi belli, il cielo dell’Isola-di-Francia: sensazioni di natura, a tratti diretti, sottili, vivi, che non rientrano in nessun cliché della poesia già conosciuta, simbolista o romantica.

Cosa personale, dunque. Direi quasi, per quanto ho potuto cogliere a volo, anche troppo. Sensazione o, come io dico, sensazionismo?

Freschezza e spontaneità del sentire, contemplazione e delizia delle cose, hanno un non so che di scolorito e leggermente comune; come se fossero effetto di una maniera prestabilita.