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180 parte prima - capitolo xx


un rancore antico di Palermo contro Napoli che è metropoli del regno, che i popoli fratelli debbono unirsi con le leggi e le istituzioni simili che producono costumi e sentimenti simili, che le due costituzioni separerebbero piú del mare e per sempre i due popoli; che lo statuto del 10 febbraio era stato dato non per le grida di Napoli ma pel sangue di Palermo, lo accettassero adunque come loro conquista. Rispondevano i siciliani che essi non si separavano dall’Italia, che la loro indipendenza non nuoceva all’Italia la quale doveva unirsi in federazione non in un regno; che la loro costituzione non l’avevano mai perduta perché i popoli non perdono mai i loro diritti, ed ora l’avevano riconquistata col sangue non con le grida, che si toglierebbe ogni rancore, ogni cagione di odio se Napoli fosse sorella non padrona, che conoscevano il Borbone e non volevano neppure il bene che venisse da lui; che non volevano piú vedere in Sicilia quei cari fratelli napoletani che avevano bombardate le loro cittá. Queste cose che in Sicilia si dicevano e si stampavano erano ripetute in Napoli da molti siciliani con parole accese, e dai calabresi di Reggio; onde le parti si aizzavano, i giovani pei caffé discutevano di politica, gridavano contro i ministri e contro tutti. Il re, che aveva contro i siciliani quello sdegno che si può immaginare, non parlava, lasciava fare i ministri, i quali indecisi e lenti trattavano questo affare, e cedevano a poco a poco, e i siciliani pretendevano. Il ministro Scovazzo che era siciliano diede le sue dimissioni. Si offerse compositore di pace lord Minto, legato straordinario inglese a le corti italiane, il quale stava da lungo tempo in Italia, e fu pregato di andare subito a Palermo ed egli partí, e molti sperarono e pochi sorrisero. Non conchiuse nulla; i siciliani non cessero d’un punto, anzi aggiunsero altre dimande: il nobile lord non torno piú in Napoli, ma fece sapere la risposta del comitato. La Sicilia si staccò da Napoli: il suo parlamento si aprí in Palermo il 25 marzo. Ferdinando II fece una sua protesta, e aspettò tempo.

Il ministero, che non aveva saputo trovar modo di comporre la grande quistione della Sicilia, non cadde ma si tras-