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[463] racconto di mia moglie 177


seppina lo assisteva con molta cura: e due padri cappuccini che lo avevano assistito venivano ogni giorno a vederlo e parlavano con me, e mi dicevano: «Questo giovane è buono, chiamava sempre la madre e il padre nei momenti estremi». Parlai anche col medico in capo, che pareva piuttosto burbero, e mi diceva: «Voi farete morire vostro figlio, perché gli porterete cose da mangiare che gli fanno male». Raffaele si levò a furia, e disse: «Voi non sapete chi è mia madre: ella mi ha salvata la vita in altra malattia che ebbi». Io ringraziai il dottore della premura che aveva per mio figlio, e gli domandai il favore, come si sarebbe sollevato un po’, di condurlo meco in una casa fuori dell’ospedale. «Quando potrò lo concederò volentieri». Andare e tornare due volte al giorno dalla piazza Carlo Felice all’ospedale era per me fatica grande, e la sera mi sentiva stanca, pure per mio figlio avrei fatto ogni fatica.

Dopo una ventina di giorni Raffaele fu in istato di essere trasportato. Presi una portantina coverta di un drappo verde, lo feci collocare giacente in essa, sollevare da quattro facchini, e via. Era il mese di luglio, ed io che lo seguiva a piedi mi sentiva arsa dal sole, e ad ogni passo mi pareva cadere. Pure si giunse a casa, lo feci adagiare in un letto pulito, mi sedei vicino a lui, ed egli per poco si addormentò. Non medici, non medicine, ma il fiato mio, e gli occhi miei lo ristoravano a poco a poco. Ebbi ancora un fiasco di buon vino da uno dei cappuccini che lo aveva assistito, glielo pagai ed egli di piú mi diede alcune figurine. Ma la casa dove stavamo era cattiva: la lasciammo per un’altra piú pulita ed ariosa all’Acqua Verde; e c’era una terrazza su la quale Raffaele era portato sopra una seggiola in certe ore del giorno, e li si rianimava all’aria aperta. Veniva spesso il generale Mengaldo, e una volta venne con lui anche il conte Mamiani a vedermi: ci venivano il Boldoni e il Carbonelli tutti due affettuosissimi.

Un giorno il generale mi disse: «Vengono i soldati di Crimea, e si festeggia il loro ritorno: giacché vi trovate in Genova bisogna vedere questa festa». Andai con lui, e non so dire quanto fui commossa a vedere quei soldati, a udire

L. Settembrini, Ricordanze della mia vita - ii. 12