Pagina:Sofocle - Edipo Re.djvu/19

Da Wikisource.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

15

Chè se d’altra contrada il reo pur fosse,
Non l’occulti chi ’l sa: chi a me lo noma,
225N’ottien mercede, e più la grazia mia.
Ma se tacer, se a’ miei comandi opporsi
Avvisasse talun, parlar temendo
O per l’amico, o per sè stesso, udite: —
Di questa terra, ond’ho possanza e trono,
230Non sia nessun ch’osi tal uomo accorre,
O seco favellar, nè porlo a parte
De’ sacri riti, nè spruzzar sovr’esso
L’onda lustral; ma lo respingan tutti
Da’ proprj lari: ei d’ogni danno è capo.
235Chiaro il disse l’oracolo. Del nume
Così le parti, e dell’estinto io prendo;
E il reo consacro, o (se più sono) i rei
Orribil vita a stracinar, da tutto
E da tutti divisa. E se in mia reggia,
240Conscio me, stassi il regicida occulto,
Io sovra me, sovra me stesso invoco
Ciò che agli altri imprecai — Tanto io v’impongo
Per quel nume, per me, per questa terra
Spietatamente oppressa. E nol chiedesse
245Anco un iddio, degno di voi non fora
Invendicata abbandonar la morte
Di quell’ottimo re. Dover sì giusto
Compier vo’ quindi, io che mi tengo il regno,
Cui prima ei tenne, ed ho comun con esso
250Talamo e sposa, e prole avrei comune,
Se lasciata ei n’avesse. A lui sul capo
La sventura piombò; ma per lui quasi
Altro mio padre, alla vendetta io sorgo: