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Sonetti del 1830 24

P’ER ZOR DOTTORE AMMROSCIO CAFONE.

3. — A MENICO CIANCA.1

     Le nespole2 ch’hai conte a cchillo sciuccio
(Pe’ ddillo3 a la cafona) de dottore,
Me le sò ppasteggiate,4 Menicuccio,
Sino a cche m’hanno arifiatato5 er core.

     Vadi a rricurre mo da Don Farcuccio6
Pe’ rrippezzà li stracci ar giustacore;7
Ché a Roma antro che un cavolo cappuccio
Pò ppagà ppiù le miffe8 a st’impostore.

     Ma er zor Ammroscio ha ffatto un bèr guadaggno
Trovanno a ffasse9 a ccusì bbon mercato
Carzoni e ccamisciola10 de frustaggno:11

     Ché in ner libbro de stampa che mm’hai dato,
Be’ cce discessi12 all’urtimo: Lo Maggno;13
E, dde parola, té lo sei maggnato.

Roma, 13 ottobre 1831.

  1. [V. la nota 1 del sonetto: Alle mano ecc., 4 agosto 28.]
  2. I colpi.
  3. Dirlo.
  4. Assaporate.
  5. [Rifiatato: sollevato, consolato.]
  6. Equivale a “nessuno.„
  7. Vedi il sonetto 1°.
  8. Menzogne.
  9. Farsi.
  10. [Camiciola: giacchetta. V. però la nota 5 del sonetto: La milordarìa, 27 nov. 32.]
  11. Non offenda il trovare qui in frustagno un vocabolo non pure illustre, ma di forma e nazione veramente toscano. Il romanesco tende di sua natura ad alterare il suono delle parole, allorchè per ispirito di satira, in lui acutissimo, vuole rendere il senso equivoco e farlo ingiurioso. Così nel caso attuale, per dire che il dottore sia stato frustato pel corpo dal libro contro di lui stampato, non disconviene alla malizia romanesca la viziatura di fustagno, termine in uso, in frustagno, per la qual viziatura questo vocabolo viene per puro accidente, indipendentissimo da perizia filologica, ad essere restituito alla sua incognita forma.
  12. [Bene ci] dicesti.
  13. Nel libro di cui si tratta appariscono per ultime parole le seguenti:

    FR. DOM. LO MAGNO,

    firma del revisore ecclesiastico. E il detto libro contiene un dialogo scritto dal signor Benedetto Blasi intorno alle stoltezze dell’opuscolo dell’Ambrosio; e quindi un confronto fatto dal signor Domenico Biagini di quello stesso opuscolo colla celebre opera del Cabanis (Rapport du moral, etc.), della quale il D’Ambrosio ha fatto un continuo plagio, viziandola però per farle dire sciocchezze.