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Sonetti del 1837 51

LO SPAZZINO1 AR CAFFÈ.

     Averò ddetto un sproposito grosso:
Ne dichi2 adesso un antro3 puro4 lei.
Diammine! ôh mmanco poi fùssimo ebbrei:
Pe’ sti prezzi che cqui,5 ppropio nun posso.

     Eppuro è avolio!6 Pijji questa d’osso,
Caro siggnore, e jje la do ppe’ ssei.
Via, me creschi un papetto,7... nun zaprei...
Ciaggiónti8 du’ carlini9... un giulio... un grosso...

     Rifretti10 che sso’11 ggeneri de Francia.
Spacchi er male pe’ mmezzo: dia un testone,12
E sservirà pe’ ffà la prima mancia.13

     Via, nun vojjo ch’arresti14 disgustato:
Compenzeremo in d’un’antra occasione.
Màa!, nnun lo dica, veh, ccos’ha ppagato.

6 febbraio 1837.

  1. Girovago mercante di minutaglie. [Ma anche non girovago. Merciaio, a Firenze.]
  2. Dica.
  3. Altro.
  4. Pure.
  5. [Per questi prezzi qui. Il che è un pleonasmo, usato frequentemente anche dal popolo di Toscana.]
  6. Avorio.
  7. [Il papetto, ch’era la lira romana e valeva poco più della nostra, si divideva in venti baiocchi, o in due giuli, o in quattro grossi.]
  8. Ci aggiunti, per “ci aggiunga.„
  9. [Un carlino valeva sette baiocchi e mezzo.]
  10. Rifletta.
  11. Sono.
  12. [Moneta d’argento del valore in trenta baiocchi.]
  13. [Il primo affare, il primo piccolo guadagno.]
  14. Che resti.