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rale che cessi al finir della notte, s’ella era connessa con quella notte; ma non cessi del tutto; chè se il cessar della notte significa il ritorno pieno della prudenza, il riapparire della prudenza non significa il riapparire delle altre virtù; sebbene ne dia indizio e speranza. Perciò la paura fu soltanto “un poco, queta„, la paura1

               che nel lago del cuor gli era durata
               la notte che passò con tanta pièta.

Or l’animo che cacciava verso il colle, trovò un impedimento nella fiera alla gaietta pelle. Ma era il principio del mattino e stagione di primavera, sicchè Dante sperava bene, quando gli si presentò un leone

                   con la test’alta e con rabbiosa fame,

da spaventar l’aria; e poi una lupa magra e avida, che

                   molte genti fe già viver grame,

e spaventevole anch’essa quanto e più del leone. La vista del leone dà paura; la paura che esce dalla vista della lupa fa subito perdere “la speranza dell’altezza„. Sì che Dante avanti questa “bestia senza pace„, piangendo e attristandosi, come chi impensatamente, dopo avere sperata la vittoria, vede di perdere, arretra verso l’oscurità, rovina in basso loco. Allora si mostra a lui Virgilio.

Questo dramma è interpretato nel racconto che fa Virgilio a Dante del motivo e delle circostanze

  1. Inf. I 19.