Pagina:Specchio di vera penitenza.djvu/168

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140 distinzione quinta — cap. iv.

che la legge impone a chi le confessioni rivelasse (come si dimostra per lo Decreto e per lo Decretale), e anche acciò che le persone non si ritraessono dal confessare, dubitando ch’ e’ peccati loro segreti non si palesassono; che qualunche grande pericolo si dee lasciare intervenire, innanzi che rivelare le confessioni. Ben puote porre il discreto confessoro alcuni rimedi a’ pericoli uditi in confessione, o ritraendo coloro che si confessano dal male proponimento o dalla mala impresa; o dicendogli che impediscano il male per alcuno convenevole modo,1 dicendo a cui s’appartiene, prelati o rettori, o a singulari persone le quali fossono per ricevere alcuno grande pericolo,2 che si guardassono bene, e che non dormissono rendendosi troppo sicuri, e simili parole: non dicendo però niente di cosa ch’avesse udita in confessione.


Qui si dimostra di quali peccati il confessoro dee domandare il peccatore; e quante sono le circostanze de'peccati delle quali il confessoro dee domandare.


Quelle cose di che il confessoro dee domandare la persona che si confessa, se vede il bisogno che non sappia o non ardisca a dire, sono gli otto vizii principali e capitali; cioè superbia, vanagloria, avarizia, ira, invidia, accidia, gola, lussuria: e de’ vizi e de’ peccati che nascono da loro; de’ quali e di ciascuno si dirà per sé distintamente più innanzi nel capitolo dove si tratterà di quali3 peccati e come la persona si dee confessare. E non solamente dee il confessoro domandare de’ peccati, ma delle circustanze che aggravano i peccati; le quali dicono i savii che sono otto, che i contengono in uno verso:

Quis, quid, ubi, per quos, quotiens, cur, quomodo, quando.


  1. Frammette un o a questo luogo la sola stampa del 25.
  2. Nel Testo: alcuni grandi pericoli.
  3. Ivi, e nella stampa del quattrocento: di quelli (quegli.)