Pagina:Specchio di vera penitenza.djvu/295

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capitolo secondo. 267

gloria ch'è da solo Iddio? Ma se l'amore dell'umana gloria, avvegna che sia vana, non è contrario alla carità, né quanto a quello di che altri si gloria, né quanto alla 'ntenzione di colui che si gloria, si come è sposto; non è peccato mortale, ma veniale. Onde dice san Giovanni Boccadoro, che con ciò sia cosa che gli altri vizi abbiano luogo ne' servi del diavolo, la vanagloria ha luogo ne' servi di Cristo; e intendesi in quanto è peccato veniale.


CAPITOLO TERZO.


Dove si dimostra come la gente è inchinevole al vizio della vanagloria e come agevolmente e in più modi vi s'offende.


La terza cosa che diremo della vanagloria, si è come la gente è inchinevole e cupida di questo vizio, e come agevolmente e in più modi ci s'offende e pecca. Della quale dice quel savio Valerio Massimo, che non è niuna sì grande umilità che non sia tocca dalla dolcezza di questa gloria. Onde conta di quel savio Temistocle, che andando egli al teatro, dove si raccontavano con canto e con loda1 l’opere virtuose di prodezza, di scienza e d'arte; ed essendo domandato qual voce o 'l cui canto più gli piacerebbe, rispose: Quella che meglio loderà l’arte mia. E santo Agostino, nel libro della Città di Dio, recitando i gran fatti de’ Romani, dice che l’amore della gloria e dell’umana loda2 tutte quelle cose maravigliose fece fare; per la cui cupidità i Romani volevano vivere,3 e non dubitavano di morire: come pone di ciò molti essempli in tutto il quinto libro; e tra gli altri, recita di quel Bruto ch'uccise i figliuoli e per l'amore della patria e per la cupidità della

  1. Con grecula dottrina il Salviati pensò di doversi qui scrivere: e con l'oda.
  2. Nel Testo: e l'umana loda.
  3. Ivi, per facile scambio: vincere.