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Un giorno però, nelle ore calde, ch’ella stava a fare la foglia per i bachi nel viale dei gelsi, colla sua bimba accanto, Cesare ch’era venuto a piedi per la solita scorciatoia attraverso al bosco, si trovò improvvisamente di faccia a lei.

La piccina, per un atto istintivo di curiosità, levò gli occhi e li fissò in lui, tra ammirata e paurosa.

Cesare s’arrestò: anche lui fissò i suoi occhi neri in quelli della bimba, girandoli poi sulla giovane operaia, con ansietà mal dissimulata. Teresina, pallida come una morta, guardava quasi affascinata le erbe alte e folte ai suoi piedi.

Questa situazione penosa durò alcuni momenti; finalmente, trascinato da un sentimento più forte della sua volontà, Cesare prese la piccina tra le braccia, la baciò in fronte, e, volgendosi alla ragazza.

— Chi è questa bimba? chiese con voce sorda.

— Non l’hai indovinato? disse la giovane cogli occhi gonfi di lagrime — non riconosci tua figlia?...

Ma poi, quasi confusa e pentita di aver osato tanto, o forse spinta da un sentimento istintivo di dignità: — perdoni, signor Conte, mormorò stringendosi le braccia al petto — perdoni, questa bimba non è che mia figlia.