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sultavano agitati da un senso misterioso di voluttà. Più che pensare, la fanciulla s’abbandonava a quella corrente di sensazioni vaghe e dolcissime, mentre negli occhi del giovane s’accendeva un pensiero più forte e risoluto.

Quella sera era una data memorabile; compiva l’anno dopo la battaglia di Solferino: era il 24 giugno 1860.

Garibaldi era già sbarcato in Sicilia.

— Che ne diresti se partissi? domandò Cesare.

— Partire? e per dove? chiese questa a sua volta.

— Per dove? per la Sicilia, s’intende.

Seguì un’altra pausa. Emilia meditava su questo nuovo tema, e Cesare pareva attendere con ansietà una risposta.

— Per me, disse finalmente la fanciulla, se fossi un uomo sarei già partito da un pezzo. Ma trattandosi di te, penso al dolore che ne avrebbe tua madre, e alla collera del nonno.

— Gli è un anno e più che ci penso, e ho vergogna della mia esitazione. Mia madre avrà un gran dispiacere, lo so, ma infine dovrà compatirmi; quanto al nonno, una collera più, una collera meno, non me ne incarico, come dicono i Napolitani! Penso a te piuttosto.