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sua nipote. Belle parole. Ma lei non ci pensava più: non se ne ricordava nè anche della sua dignità. Si sentiva spezzata, affranta; con un dolore orribile in cuore, e le idee sconvolte, abbuiate da una inesprimibile confusione.

Cos’era accaduto veramente! Perchè lei non poteva chieder del suo Cesare? E lui perchè non veniva? Ma a poco a poco si ricordò di tutto. Si sentì schiantare un’altra volta. Era vero, lei non avrebbe dovuto mai più pensare a lui. L’offesa era stata orribile.... Eppure! come gli avrebbe perdonato, come avrebbe dimenticato; se lo avesse veduto là vicino al suo letto pentito e commosso. Invece era sola! Fra gente che non l’amava, che; sopra tutto, non la capiva.

Era sola, e lui non ora venuto. Forse stava vicino a un’altra. Un’altra era felice della sua miseria!

Avrebbe voluto interrogare, sapere; ma davanti alla faccia sardonica del tutore, e a quella indifferente del medico e all’altra inebetita del signor Arturo, che aveva chiesto il permesso di venire a congratularsi del suo miglioramento, risentì il morso dell’acre sdegno, e soggiacque all’impero della così detta dignità e dell’orgoglio.