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tutto questo, quand’era di buon umore, sapeva ancora aver dello spirito. Ai suoi bei tempi aveva fatto la delizia di quella corte milanese di Napoleonidi, di cui le nostre nonne e bisnonne serbarono così dolce ricordo.

Colla caduta del Regno d’Italia egli s’era ritirato dalla vita politica come molti altri e viveva in quella piccola città dell’Istria. Fumava continuamente, cioè dire, teneva la pipa in bocca, poiché la più parte del tempo era spenta, e consumava almeno una scatola di fiammiferi il giorno.

Adorava Voltaire e mandava al diavolo il papa: sagrava e attaccava moccoli come un becero fiorentino; e nello stesso tempo, se in quel paesucolo ti calava giù un personaggio della imperiale famiglia, o altro pezzo grosso, non c’era fra tutto il rispettabile nobilume altro che lui cui venisse fatto di presentarsi a modo.

L’anno avanti, allorché Napoleone III era venuto in Lombardia per aiutare l’Italia a liberarsi dallo straniero, il vecchietto s’era sentito ringarzullire; non già che gli premesse molto della riabilitazione della patria comune; queste, per lui, erano fisime che non lo toccavano affatto: il suo entusiasmo era tutto quanto per i Francesi i quali ve-