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lice; ma poi, riprese il solito sorriso e il solito brio, e parve a tutti più brillante e più bella che mai, quella sera.

Questo fu come il prodromo dello sua vendetta.

Prodromo elegante.

Ma un giovane ch’era amico di Cesare fin da quando portavano tutti e due la camicia rossa in Sicilia, e poi a Custoza, s’accostò a lui e gli domandò se conosceva da un pezzo quella signora.

Cesare rispose che le era stato presentato quella sera soltanto, e arrossì per la bugia che diceva.

— Guardatene! sentenziò l’amico: è una donna molto pericolosa.

— Come sarebbe a dire?

— È una civetta, e delle peggio.

— Oh, per me sono corazzato. E poi, non capisco che si possa aver paura d’una civetta, disse Cesare con un’indifferenza un po’ troppo spinta se vogliamo, il che potrebbe provare che non era sincera.

— Non ti fidare! continuò l’amico. Guarda e fremi! E gli mostrò un giovine pallido, consunto, che non staccava mai gli occhi dal viso d’Emilia.

— Non capisco! esclamò Cesare che aveva paura di capir troppo. È il suo amante forse? In questo