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Sentiva un respiro affannoso interrotto da esclamazioni di suprema felicità, un rantolo, che gli faceva drizzare i capelli in capo.

Non ci resse più, balzò in piedi; era pallido come una larva: grosse goccie di sudore bagnavano la sua fronte, tremava.

Gli era parso di riconoscere la voce di Emilia mischiarsi dolcemente a quell’altra voce.

Pazzo di furore o d’angoscia, afferrò la portiera, la tirò, la scostò, sporse il capo.... E un urlo selvaggio, un urlo simile a quello che aveva turbato il silenzio del bosco la sera del suo colloquio con la povera Teresa, turbò l’ebbrezza divina del giovine veneziano. Quanto all’Emilia, quel grido era aspettato da lei, e più caro al suo cuore di qualunque gioia.

Ma Cesare capì subito che quella era una scena preparata: una vendetta secondo la legge del taglione che l’Emilia aveva sempre venerata in fondo al suo cuore. Fece sopra di sè uno sforzo supremo: lasciò ricadere la tenda e s’allontanò a passi lenti, senza proferir parola.

E anche l’altro capì. Del resto l’Emilia non si curò d’illuderlo: appena ottenuto lo scopo, lo respinse con nausea e gli voltò le spalle.