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cando di mitigare la lugubrità di quella posizione desolata: oramai, gli sarebbe mancato il tempo e le occasioni di dimenticare. Lei doveva invece dimenticare, doveva godersi il suo bell’estate: ciò era fatale; vale a dire ch’era giusto.

E intanto la guardava con occhi profondi e calmi, e con la sola mano che poteva muovere, la sinistra, le andava accarezzando i capelli, con atto di pietà soave, piuttosto materna che di uomo innamorato.

Lei si sentiva vinta da quella serenità: soggiogata da quella grandezza. Ma dimenticarlo, no: dimenticarlo non poteva: nè voleva. Si sarebbe disprezzata.

In quest’amore c’era la verità eterna dell’anima immortale: nell’amore di suo marito, il falso delle circostanze mutabili. Amarlo lui voleva dire essere virtuosa, elevarsi alle sfere più alte dell’idealità: se avesse amato Luigi sarebbe ricaduta nel fango della vita comune e convenzionale. Sarebbe partita tuttavia, sarebbe stata buona madre: non voleva amareggiarlo con dei rimorsi: ma non sarebbe stata mai felice lontana da lui, non avrebbe mai cessato di amarlo: mai lasciato credere a Luigi di volergli solo un pochino di bene: non si sarebbe mai abbassata a fingere: mai avrebbe profanato l’amore che Carlo