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Ma era poi amore? O cos’era? E l’uomo che aveva sedotta la Teresina l’aveva egli amata?

Queste erano le solite riflessioni, dove si smarriva sempre. Ma in codesta sera, il sentimento doloroso che le accompagnava le rendeva più amare. Intanto il temporale era scoppiato. Cadeva una pioggia diluviale.

Colta dal freddo, si ritirò dalla finestra. Anche la donna che piangeva in giardino s’era ritirata.

Si gettò sul letto vestita a quel modo, e, dopo lunghe meditazioni dolorosissime e lagrime amare che le bruciavano le palpebre, vinta dalla stanchezza, chiuse gli occhi e s’addormentò.

Ma il sonno che la tolse per brev’ora alla disperazione, non era di quello che calma lo spirito e ristora le forze. Era un sonno affannoso, tormentato da sogni orribili.

Vedeva, con un’insistenza che teneva dell’allucinazione, un campo di battaglia sparso di morti, e di feriti: il sangue scorreva a rivi: un frastuono spaventoso rintronava il suo cervello: gemiti disperati straziavano il suo cuore. E in mezzo ai morti vedeva Cesare agonizzante, trascinarsi tra la polvere e i ciottoli, lungo una strada arsa dal sole, per chiederle un sorso d’acqua, a refrigerio della sua gola ardente, delle sue labbra inaridite.