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Ma finalmente gli parve di non poter più star zitto, in coscienza. Il bimbo era divezzato, e il pericolo eminente. Allora egli parlò sul serio a Carlo dei suoi doveri di nobile; degl’imbarazzi che la nascita d’altri figli potrebbe recargli un giorno; dell’inutilità d’aver sposata una donna ricca, se i beni stabili accresciuti con tante cure, dovevano correre il rischio d’essere frazionati: e di molte altre cose parlò, e diede consigli, che bisognava proprio esser cieco per non vedere quale tesoro di prudenza contenessero. Ma tutto invano. Il conte Carlo sentiva d’amare ogni giorno più la sua dolce compagna, e si sapeva assai ricco da provvedere decorosamente, non solo a due, ma anche a dieci figliuoli.

Così, in forza di quest’amore Cesare, ch’era il primogenito, ebbe due fratelli e cinque sorelle.

Il conte nonno sudava freddo. Quella fecondità gli gonfiava il fegato: quel disprezzo così sfacciato della sua volontà gli avvelenava la vita.

— Maledetta chioccia! brontolava fra i denti a ogni nuovo germoglio del suo vecchio stipite.

Ma le ombre degli avi ch’egli invocava nelle sue angoscio si mossero finalmente a pietà del suo stato.

I due maschi minori morirono e anche il padre gli tenne dietro.