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— Mamma! — supplicava l’Annetta stringendosi affannosamente al seno di Cleofe.

Questa, trascinata dal suo temperamento impetuoso, avrebbe subito messo alla porta quell’impiegatuccio insolente, se l’amore della figlia non l’avesse trattenuta. Si dominò con uno sforzo supremo e impose silenzio alla propria Collera.

— Ella s’inganna, signor Brussieri, — disse sorridendo con finezza. — Noi domandiamo rispetto, non sommissione. In questa casa potrà sempre dire le sue ragioni, precisamente come noi. Del resto io credo che fra noi c’è un equivoco. Via; sediamo un momento su questa panchina e discorriamo da buoni amici. Cosa le ha fatto, infine, la sua fidanzata? Di che cosa è colpevole?

— Colpevole?... Ma le pare.... signora? Non ho detto questo.... non ho... scusi....

S’impappinava. Come tutte le nature ardenti e ineducate, rozze, egli avrebbe risposto magnificamente a un ruvido attacco: quelle parole gentili lo demolivano.

— Glielo dirò io cos’è — disse la signora tirandolo d’imbarazzo. — Mia figlia ha un solo torto, ma grande: le vuol troppo bene.

Paolo restò un momento sconcertato, non volle però darsi vinto. Già troppo gli cuoceva di essere stato battuto una volta. La sua baldanzosa volgarità tornò a galla.