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Quella mattina la piazza, di solito così desolata e solitaria, presentava un aspetto strano, una scena curiosa e vivacissima.

La fiera ingombrava tutto.

Già dalla sera innanzi, i carri e i carrozzoni dei saltimbanchi e cerretani, e di tutta quella singolare specie di gente, che suole accorrere a simili baldorie, stavano schierati qua e là sullo spiazzato, sull’orlo della strada e del fosso, nella viuzza affondata, fino al piede della torre, e nel fossato medesimo.

I curiosi, sempre più spessi, notavano con interesse un teatro di scimmie, un museo, un teatro meccanico, alcuni bersagli a pipe e a fantocci; due o tre fenomeni verosimilmente apocrifi; parecchie giostre di vario genere, tra le quali, emergente, la giostra a vapore con le barche e una mezza dozzina di marinari di bell’aspetto. Melegnano la vedeva per la prima volta, e giudicando dalla folla che l’attorniava doveva esser ciò che i francesi chiamano il clou dello spettacolo di quell’anno.

Il piccolo mondo zingaresco, raccolto nel breve spazio, finiva di mettersi all’ordine con vertiginosa rapidità. I contadini guardavano a bocca aperta il lavoro di quegli uomini robusti e svelti, che s’intendevano con un cenno o una semplice parola, per abitudine quasi meccanica, funzionando tutti insieme, con la precisione di un cronometro. In brevissimo tempo la grande giostra era a posto.