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La fanciulla gli diede un buffetto con le sue dita rosee, e tornò a chiudere l’uscio gridando:

— Veniamo subito.

Quando non faceva più tanto caldo da stare fuori la sera, la famiglia si radunava nel salottino da lavoro delle signore, presso al salotto grande e alla sala del pianoforte, dominio quasi esclusivo del signor Mandelli.

Marco Fabbi, il padron di casa, e le due zitellone, seduti a un tavolino da gioco, facevano la solita partita a primiera.

Andrea Celanzi stava a guardare, ridendo delle distrazioni di Leopoldo che odiava le carte e giocava per compiacenza.

Ad ogni sbaglio, ad ogni distrazione, le due vecchie strillavano; e Marco e Celanzi ridevano di dietro alle carte.

Sola, seduta presso la tavola da lavoro, Emma, curva sul telaio, non diceva una parola. Terminava una guernizione d’abito per la sposa. La grande lampada pendente dal centro del soffitto l’avvolgeva in una luce rosea, per cui sembrava meno pallida. Nessuno badava a lei. Soltanto il Mandelli la guai dava di tratto in tratto, distraendosi più che mai da quella disgraziata primiera.

Paolo rientrò solo.

— Oh! — fece Marco — Niente ancora?

— Saranno qui a momenti.

Esse entrarono poco dopo.