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passeggiare lungamente in su e in giù, indovinando che si abbandonava alla violenta agitazione tenuta in freno per alcune ore, e non aveva osato affrontarlo subito.

Poco vestita, nel suo accappatoio di flanella, era rimasta più di mezz’ora nel corridoio, tremando di freddo, battendo i denti per la febbre a cui era in preda. Soltanto quando s’accorse che era andato a letto e aveva spento il lume, sperandolo meno irritato e più disposto alla pietà, si era finalmente decisa a entrare.

Quello sforzo l’aveva esaurita. Le pareva che i suoi ginocchi fossero incollati al pavimento; la sua lingua era paralizzata.

Infastidito e stanco Leopoldo allungò un braccio fuori dalle coperte, e afferrandola a una spalla, la scosse tutta, gridando con voce sorda:

— Ebbene?... Che vuoi?... Smetti una volta di far la commedia! Io non credo alle tue lagrime. Hai qualche cosa a dirmi? Una rivelazione importante che ti giustifichi? Vuoi accusare me?... La mia freddezza di carattere?... o per meglio dire, il mio limitato ardore matrimoniale?... Parla!... Sfogati... È il tuo diritto. Convengo di non essere stato l’uomo che ci voleva per te. Me ne sono accorto presto. Le mie raffinatezze sentimentali ti annoiavano. Per te ci voleva un buontempone, con la forza di un colosso, capace di tenerti allegra e di atterrarti all’occasione