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visione. Si rivedeva bambino, in calzoncini corti, allegro, felice: poi grandicello, con la nera sottana del seminarista, impacciato, serio, senza espansione. Rivedeva il padre, il fratello, così diversi. Quante contrarietà, quante amarezze si accompagnavano nella sua vita ad ogni ricordo! Non era mai stato felice. Nessuno lo aveva amato di quell’amore intenso, assoluto, che è il sogno delle anime ardenti.

E tuttavia quei ricordi lo commovevano. Il passato lo trasportava ancora; per quanto mesto, era un gaudio in confronto del presente.

Ebbe, in quel mezzo, una strana sensazione di rapimento. La vita reale fuggiva da lui; le cose reali assumevano un significato simbolico. Già gli pareva di toccare, cosciente, all’estremo limite del mondo fisico; già il mistero si frangeva; già la mònade umana si sentiva prossima a naufragare nell’eterno infinito.

I bimbi, stupefatti del suo silenzio e della sua immobilità, si allontanavano adagio, guardandolo di sottecchi. Il cane, ritto sulle quattro zampe, dimenava la coda.

Leopoldo si scosse: la visione sparì. I grandi occhi umidi dei bimbi curiosi, i dolci occhi affettuosi della povera bestia, lo attirarono a sè.

Perchè lo commovevano così profondamente? Perchè penetravano così addentro nell’anima sua?

Poveri bimbi ignari! Povero cane!... Un’onda di pietà gli gonfiò il cuore. Si chinò sulle bionde teste