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Bisognava sfuggirgli, andarsene. Il destino la spingeva.

Oh! se la sua mamma fosse stata ancora viva, l’avrebbe cercata, si sarebbe messa al suo fianco, per proteggerla, rialzarla. Ahimè, ella era sola al mondo! Poteva andare dove voleva, era padrona. Tutto le diceva di fuggire. Oh! perchè non era fuggita prima?!

Quante lagrime aveva versate fra quelle pareti, fin da piccina, fin da quando rievocava le carezze della sua mamma perduta, sebbene quelle carezze fossero spesso alternate da busse! Quante volte nel piccolo letto elegante e morbido, quante volte, non potendo addormentarsi, ella aveva sognato di scappare, di correre dietro ai carrozzoni, per non ritornare mai più in quel paese, in quella casa, dove pativa tante umiliazioni! Il solo pensiero di Leopoldo la tratteneva allora.

Era finito adesso: nulla poteva trattenerla.

Aveva l’indirizzo dei Von Roth, che si trovavano a Bologna. La signora Marta le aveva scritto da pochi giorni, come soleva fare un paio di volte l’anno.

La mattina dopo Emma si alzò presto, andò al telegrafo e mandò un dispaccio così concepito:

«Ho bisogno di un posto nel carrozzone per alcune settimane. È possibile? Rispondere fermo in telegrafo a Emma Walder

La risposta non si fece aspettare. Quando andò a prenderla, era già lì da alcune ore. Essa diceva: