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invitare il pubblico con gesti eloquenti e parole altisonanti. Presso all’entrata del Teatro delle scimmie la gente si affollava sghignazzando ai lazzi di due scimmiotti in marsina rossa, mentre un uomo dalla faccia non meno scimmiesca, batteva il tamburo, interrompendosi di tratto in tratto per arringare la folla e invitarla ad entrare intanto che i buoni posti erano ancora liberi.

La magnetizzata chiaroveggente, dispensatrice di destini stereotipati; le giostre e i bersagli, facevano già buoni incassi.

Dalla sua finestrella, la signora Marta Von Roth non aveva occhi altro che per la giostra a vapore di cui era proprietaria insieme al marito. Tutto la interessava in quella magnifica giostra; dai complicati ingranaggi della macchina alle barche lucenti come specchi; dai motivi, tutti moderni, dell’orchestrion, ai lavoranti in costume marinaresco; più che mai però la sua attenzione era attratta dalle persone che salivano.

Queste, essa le contava, le divideva in classi, distinguendo a colpo d’occhio i frequentatori abituali dai curiosi che salgono per una volta. Contava i giri che ognuno faceva; s’interessava a certe donnine che strillavano quando la barca pareva sprofondare in un baratro col suo ritmico beccheggio.

Volta per volta, ella notava sopra un libricino i denari incassati; e ciò non tanto per controllare l’onestà dei suoi uomini, tutte persone fidate, ma per