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qualche parola a Emma, con l’intenzione di farle coraggio; ma sentiva il sapore amaro di quei conforti inutili.

Taceva un momento, poi si rimetteva a brontolare. Annetta gli aveva mandato un dispaccio. Voleva essere informata subito dell’esito finale. E Cleofe gli aveva scritto.

— Non ha che una preoccupazione la mia bella cognata — diceva egli: — che si parli di lei, che sia offeso il suo onore con maligne indiscrezioni; non tanto per lei, s’intende, quanto per Annetta che rischierebbe di non maritarsi più... Si capisce!...

Il riepilogo finiva.

Un soffio di uragano passò su quel mare di teste.

Il presidente prese in mano il foglio su cui erano scritte le questioni proposte ai giurati, e subito si chetò l’uragano. Lesse, e appena finita quella lettura, i giurati si ritirarono.

La folla adesso dava sfogo alla sua commozione parlando a voce forte, gesticolando. Alcuni andavano a colazione. I più non osavano uscire per timore di non rientrare a tempo. Gli amici si stringevano intorno a Leopoldo, cercando di distrarlo.

Egli era pallidissimo, ma assai tranquillo. Alcuni della folla volevano accostarglisi per vederlo più da vicino e mandargli un augurio. Era presente anche il medico direttore dell’Istituto sanitario. Egli disse a Emma: