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vecchia abitudine, e più ancora per un piacere quasi infantile di assistere man mano all’incasso della giornata, un incasso che ella si figurava enorme.

Dalla cucinetta veniva il rumore delle stoviglie risciacquate da una servetta piccina e belloccia.

Dalla parte opposta a quella della cucinetta e anticamera, s’intravedeva la camera da letto con le tendine in trina greggia su trasparente di percallina rosa; un largo specchio ovale sopra un lavabo e due lettini di ottone bianco scintillante come argento brunito. Era proprio bella la casetta nel carrozzone. Peccato che la figura della padrona vi stonasse un poco. La signora Marta poteva avere cinquantanni, sebbene non li mostrasse, ed era alta, diritta, di forme opulenti: doveva essere stata bellissima.

Ora, i suoi magnifici capelli biondi impallidivano e la sua carnagione lattea, trasparente, prendeva invece un tono opaco di vecchio avorio. Tuttavia i lineamenti serbavano la primitiva regolarità e gli occhi una espressione ingenua e gaia di bimba felice. Un sorriso di compiacenza errava sulle sue labbra, ed ogni tanto il bisogno di espandere la sua contentezza la forzava a chiamare Kate la fantesca, per mostrarle la gente che montava nelle barche, così numerosa, così entusiasta.

— Stasera vuol essere un affare serio; dovrà lavorare anche il padrone; anche tu!...

La servetta, con le mani umide, avvoltolate nel