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Quella situazione che non offriva alcuna novità, perdette ben presto ogni interesse agli occhi della folla. La maldicenza trovò altro pascolo ed Emma fu, la diomercè, un po’ dimenticata.

Leopoldo migliorava.

Dopo il terribile avvenimento che aveva ottenebrata la sua ragione, egli non aveva più neppur pensato alla musica. Migliorando, a poco, a poco, l’antico amore dell’arte si risvegliò nel suo cuore.

Le conversazioni famigliari, alle quali prendevano parte spessissimo, Marco Fabbi e il vecchio dottore, più di rado, qualche altro parente ed anche le due vecchie zie, sempre accanite giuocatrici di primiera, distraevano molto il convalescente.

Leggeva i giornali e le riviste e discorreva con animazione. — Discuteva su qualunque soggetto come nei bei tempi della sua maggior potenza intellettuale.

Dimenticava soltanto i nomi e le date, che Emma aveva cura di suggerirgli.

— Ah! — gemeva egli qualche volta — i morti perdono la memoria. Quando ero vivo e le mie mani non s’erano macchiate, e Dio non mi aveva condannato a questo terribile supplizio di essere morto tra i vivi... allora la mia memoria era limpida, il mio cuore sereno... Ora è finito per me!

Qualche volta piangeva.

Altre volte diceva che Dio gli aveva perdonato; che aveva fatto bene a uccidere il vile seduttore: