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Una sera, una fredda sera autunnale, Leopoldo, che non si levava quasi più dalla poltrona, e non poteva mettersi a letto per l’oppressione del cuore, disse a Emma di allontanare il domestico e di restar sola con lui.

Il dottore se n’era appena andato, assicurando che la notte sarebbe calma; vi era un leggiero miglioramento.

Si trovavano nell’antico salotto al piano terreno, trasformato in camera da letto già da oltre un anno: dacchè la palpitazione di cuore rendeva le scale troppo faticose all’infermo.

Era una stanza assai grande, ariosa, con due finestre a mezzogiorno. Le pareti, coperte di una stoffa amaranto, erano decorate di quadri, bronzi, gessi, porcellane. Il letto spariva in un angolo sotto a un padiglione di stoffa turca a ricchi disegni. La mobiglia sobria e comoda, non ingombrava. Tra le due finestre, uno specchio dall’alto al basso. Tende e tappezzerie delle sedie e dei divani, in damasco cremisi, con ricami d’ogni colore.

Un bel fuoco ardeva nel caminetto di marmo, per rinnovare l’aria, a cui un calorifero dava il necessario tepore.