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di una sua sorella morta giovanissima, e il cugino Andrea Celanzi che veramente era cugino di sua moglie. I due soli amici che egli avesse.

I parenti del suo futuro genero lo esasperavano addirittura. Quel vecchio guantaio, lindo e volgare, con la facezia grossolana sempre pronta sul labbro; quelle due donne, madre e figliuola, tutte a frasi stereotipate e complimenti stantii da spacciare agli avventori insieme alla merce avariata; quella falsa civiltà, quella pretesa eleganza, ah! Dio di Dio! fortuna che non sarebbero venuti spesso a trovare il figliuolo, ingolfati come sembravano nei loro interessi!

Ma appena sentirono i primi accordi, tratti da un un eccellente Pleyel, le due guantaie milanesi si estasiarono per l’ingegno del signor Mandelli: un uomo straordinario, una gloria, degno di brillare in una capitale come Milano.

— È una increanza restare qui — disse la signorina Paimira alla madre. — Giacchè il signor Mandelli è tanto gentile da farci sentire qualche cosa, sarà meglio entrare in salotto.

— Oh, anzi, subito — fece la madre: una lunga, secca, con i capelli grigi incollati sulle tempie. — Andiamo pure.

Per fortuna la signora Cleofe, che sapeva benissimo quanto suo marito si sarebbe annoiato di quella ammirazione, fu pronta a trattenerle.

— Fa troppo buio in salotto, signora Brussieri;