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calma. Poi, quando si è ricordata, quasi tornava da capo. Povera Annetta! Per fortuna la mamma l’assicurò che tutto era finito, che era stato un malinteso, che tu avevi fatto una delle tue sfuriate... ma che adesso sei tranquillo, convinto e non farai più alcuna opposizione.

Egli si picchiò la fronte e sospirò.

— Parliamoci francamente, Emma. Con te si può parlare. Tu hai nervi solidi e non conosci le convulsioni, nò gli svenimenti.

— Io no, babbo; ma non è un merito.

— Sarà benissimo: è un gran comodo però. Ora dunque parliamo. Tu sai, vero, la causa della mia collera, della mia improvvisa opposizione.

E la guardava fisso con quegli occhi azzurri e profondi che scrutavano le anime.

— Sì, la so; purtroppo. Tu hai visto la scenata che mi ha fatto Paolo sulla scala. Tu sai, però, che io non ne ho colpa.

— Senza dubbio. Tu l’hai respinto risolutamente da ragazza onesta e dignitosa. Dimmi: è questa la prima volta che si contiene così verso di te?

— La primissima.

— ...e non ti ha mai dato altri segni di simpatia?

— Non mi sono accorta... però...

— Parla.

— Dacchè lo conosco mi ha sempre ispirato un segreto terrore: un senso di repulsione e di paura insieme. Che so? ...un presentimento di disgrazia.