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— Chi è il signore? domandò la fanciulla rivolgendosi alla sua zia.

— Mio fratello... balbettò Caterina.

— Tuo fratello?... dunque mio padre? esclamò Gilda scattando.

Nel suo cuore sentì come uno slancio di affetto che la spingeva verso di lui, e nel medesimo tempo una sorda ripugnanza.

Avrebbe voluto abbracciarlo, abbandonarsi a quell’affetto così nuovo e così dolce: ma si sentiva ferita in tutta l’anima dalla esteriorità di quell’uomo, che era il padre suo.

— Siete molto cambiato!— disse dopo un momento di silenzio: — non potevo riconoscervi.

C’era tanta tristezza in queste parole che zia Caterina si voltò da una parte per nascondere le lagrime.

— Avevo dieci anni, — continuò Gilda, — quando la mamma è morta: e ricordo tutto.... anche la partenza del babbo...

S’interruppe temendo di pronunciare qualche parola amara: l’immagine del babbo che portava nella memoria, era tanto diversa da quella che ora le tornava davanti!

— Ho sofferto molto, — credè opportuno di dire Pietro, con la sua voce rauca, — e le sofferenze mi hanno invecchiato. Ma sono sempre tuo padre. E sono anche il capo della famiglia: la mia signora sorella ha avuto perciò torto marcio di non prevenirti al mio arrivo, come pure di non dirmi dove tu eri. O di che temeva? Sarei andato a trovarti: ebbene! Una figliuola bene educata non può aver vergogna del suo genitore per il solo fatto che è malvestito. Datemi dei danari e mi vestirò bene