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nell’ingranaggio | 107 |
E lui pure era stato buono, diceva zia Caterina: buono ma debole. Smanioso di fare il signore, di brillare, di emergere.
Precisamente come lei. Tutti e due si sentivano una gran foga di salire, ma senza forza sufficiente per sostenersi, senza grandi qualità per emergere, sopra tutto senza costanza. Quella gran foga non serviva che a farli precipitare.
Anche lei forse era predestinata a decadere come lui, a sommergersi nella bassezza; più vergognosamente di lui, perchè più educata e di fibra più fine.
Che tormento! Che angoscia!
Pareva che Pietro dal canto suo intuisse qualche cosa degli intimi combattimenti di sua figlia tanto cercava di distoglierla dalla vita di lavoro a cui si era consacrata.
Ogni giorno enumerava le miserie dei maestri e delle maestre, le loro fatiche sprecate, le noie, le ingratitudini di cui li colmavano gli scolari. Per contrapposto egli faceva le più brillanti descrizioni della vita di palcoscenico, e delle fortune che una giovine vi poteva incontrare.
Ora era una povera ragazza che recitando una piccola parte graziosa aveva innamorato un milionario: ora una cantante di operette, che guadagnava tanti denari da mettersi più in lusso di una vera contessa; ora una mima, che era stata sposata, proprio sposata, da un ricco signore.
Alcune relazioni ch’egli aveva conservate fra la gente di teatro, gli fornivano gratuitamente qualche giornale teatrale e qualche biglietto eh egli regalava a Caterina perchè conducesse con sè la Gilda.